LA DIVINA COMMEDIA DI DANTE
Nel mezzo del cammin di nostra vita
mi ritrovai per una selva oscura,
ché la diritta via era smarrita.
Introduzione
Il poema è scritto da Dante durante il suo esilio tra il
1304 e il 1321; nella primavera del 1300 Dante aveva 35 anni ed è il giorno di
Pasqua che egli intraprende il suo viaggio nell’al di là.
L'opera è divisa in tre cantiche, "Inferno",
"Purgatorio" e "Paradiso", ciascuna delle quali si compone
di trentatre canti; un canto proemiale porta il numero totale dei canti a
cento, ma è il numero perfetto e mistico per eccellenza, il tre, ad essere il
fondamento di tutta l'opera.
L'inferno, a forma di cono rovesciato, è uno scuro imbuto al
fondo del quale è conficcato l'angelo del Male, il ribelle Lucifero, posto così
nel luogo più lontano da Dio di tutto l'universo. Dante e la sua guida
spirituale Virgilio lo discendono completamente, incontrando via via dannati
colpevoli di delitti sempre più gravi.
I personaggi
danteschi sono personaggi storici e mitologici, ma anche contemporanei del
poeta, protagonisti delle lotte intestine che dilaniavano tutti i comuni
italiani e toscani in particolare.
Lo sdegno del poeta colpisce tutti questi protagonisti dei
mali italiani, e si appunta in modo particolare contro la corruzione del clero
e del papato, più propensi ad occuparsi dei beni temporali che alla salute
spirituale della cristianità.
Le vicende personali di Dante, costretto all'esilio dopo
anni di lotte tra le fazioni dei guelfi Neri e Bianchi di Firenze, offrono la
chiave di lettura con la quale comprendere l'opera.
Dopo la discesa agli inferi Dante risale nell'emisfero
australe, dove sorge la montagna del Purgatorio; qui coloro che in vita si
macchiarono di colpe minori si purificano attendendo il momento in cui potranno
salire al cospetto del Creatore e prendere posto tra i beati.
L'atmosfera di questa seconda cantica è molto più serena e
calma, e la salita del monte si svolge senza intoppi; lo stesso Dante man mano
che passa da una cornice a quella superiore vede mondarsi la propria anima dal
peso dei peccati compiuti.
Al termine si arriva nel Paradiso terrestre, dove la
narrazione del viaggio lascia il posto ad allegorie mistiche sul ruolo dei due
massimi poteri del tempo, il papato e l'impero, e sulla confusione dei loro
rispettivi ruoli che purtroppo si è verificata nell'Europa del tardo Medioevo.
Qui Virgilio, fedele compagno simboleggiante la ragione,
lascia Dante alla guida di Beatrice: occorre infatti la Fede per salire al Paradiso
e presentarsi al cospetto di Dio. La Beatrice che qui Dante ritrova non è più
la donna sensuale delle canzoni amorose del giovane poeta: ora è una figura
celestiale, spiritualizzata dalla Fede, che si pone come modello di vita
religiosa e di splendore mistico, priva di caratteristiche terrene e
completamente appagata dall'abbandono a Dio. Nel Paradiso Dante e Beatrice risalgono
i cieli.
Inferno: canto I
Nella primavera del 1300, a 35 anni, l’età che egli
considera il punto di mezzo della vita umana, Dante inizia il suo viaggio
nell’oltretomba. Irretito in una vita peccaminosa (la selva oscura) non riesce
a trovare da solo la via del bene. La selva lo riempie di terrore, essendo un
chiaro preannuncio della dannazione della sua anima.Egli non saprebbe nemmeno
ricostruire le fasi del suo allontanamento dalla vita virtuosa, perché quando
cominciò a peccare, signoreggiato ormai dai soli istinti, privo di luce
intellettuale (pieno di sonno), non aveva più la possibilità di discernere il
bene dal male.Quando Dante, all’uscita dalla selva, vede la sommità del colle
(simbolo della faticosa ascesa verso il bene, dell’espiazione, della
purificazione) illuminata dai raggi del sole (simbolo della Grazia), comincia a
sentirsi rinfrancato, come un naufrago sfuggito ai marosi e approdato, ancora
incredulo della propria salvezza, alla riva. Inizia l’ascesa del colle. Ma tre
belve: (allegorie di tre peccati specifici - la lussuria, la superbia,
l’avarizia - o, secondo altri, delle tre categorie aristoteliche del peccato -
la malizia, la sfrenata bestialità e l’incontinenza -) lo ostacolano nel suo
procedere, così che egli alla fine dispera di poter raggiungere la vetta ed è
sospinto nuovamente verso la valle della perdizione. A questo punto gli appare
l’ombra di Virgilio (simbolo della ragione umana, della filosofia) il quale gli
annuncia che, se vorrà approdare alla meta agognata dovrà seguire un altro
percorso, visitando successivamente, sotto la sua guida, il regno dei dannati e
quello delle anime purganti. Perché poi egli possa avere diretta conoscenza del
regno degli eletti, Virgilio dovrà affidarlo alla guida di Beatrice (simbolo
della fede, della teologia).
Prima vi offro una versione un po’ alternativa:
La divina commedia a fumetti…
Ed ora la versione classica del primo canto dell’Inferno!
Nel mezzo del cammin
di nostra vita
mi ritrovai per una
selva oscura,
ché la diritta via
era smarrita. 3
Ahi quanto a dir qual
era è cosa dura
esta selva selvaggia
e aspra e forte
che nel pensier
rinova la paura! 6
Tant’è amara che poco
è più morte;
ma per trattar del
ben ch’i’ vi trovai,
dirò de l’altre cose
ch’i’ v’ ho scorte. 9
Io non so ben ridir
com’i’ v’intrai,
tant’era pien di
sonno a quel punto
che la verace via
abbandonai. 12
Ma poi ch’i’ fui al
piè d’un colle giunto,
là dove terminava
quella valle
che m’avea di paura
il cor compunto, 15
guardai in alto e
vidi le sue spalle
vestite già de’ raggi
del pianeta
che mena dritto
altrui per ogne calle. 18
Allor fu la paura un
poco queta,
che nel lago del cor
m’era durata
la notte ch’i’ passai
con tanta pieta. 21
E come quei che con
lena affannata,
uscito fuor del
pelago a la riva,
si volge a l’acqua
perigliosa e guata, 24
così l’animo mio,
ch’ancor fuggiva,
si volse a retro a
rimirar lo passo
che non lasciò già
mai persona viva. 27
Poi ch’èi posato un
poco il corpo lasso,
ripresi via per la
piaggia diserta,
sì che ’l piè fermo
sempre era ’l più basso. 30
Ed ecco, quasi al
cominciar de l'erta,
una lonza leggera e
presta molto,
che di pel macolato
era coverta; 33
e non mi si partia
dinanzi al volto,
anzi ’mpediva tanto
il mio cammino,
ch’i’ fui per
ritornar più volte vòlto. 36
Temp’era dal
principio del mattino,
e ’l sol montava ’n
sù con quelle stelle
ch’eran con lui
quando l’amor divino 39
mosse di prima quelle
cose belle;
sì ch’a bene sperar
m’era cagione
di quella fiera a la
gaetta pelle 42
l’ora del tempo e la
dolce stagione;
ma non sì che paura
non mi desse
la vista che
m'apparve d'un leone. 45
Questi parea che
contra me venisse
con la test’alta e
con rabbiosa fame,
sì che parea che
l’aere ne tremesse. 48
Ed una lupa, che di
tutte brame
sembiava carca ne la
sua magrezza,
e molte genti fé già
viver grame, 51
questa mi porse tanto
di gravezza
con la paura ch’uscia
di sua vista,
ch’io perdei la
speranza de l’altezza. 54
E qual è quei che
volontieri acquista,
e giugne ’l tempo che
perder lo face,
che ’n tutti suoi
pensier piange e s’attrista; 57
tal mi fece la bestia
sanza pace,
che, venendomi
’ncontro, a poco a poco
mi ripigneva là dove
’l sol tace. 60
Mentre ch’i’ rovinava
in basso loco,
dinanzi a li occhi mi
si fu offerto
chi per lungo
silenzio parea fioco. 63
Quando vidi costui
nel gran diserto,
"Miserere di
me", gridai a lui,
"qual che tu
sii, od ombra od omo certo!". 66
Rispuosemi: "Non
omo, omo già fui,
e li parenti miei
furon lombardi,
mantoani per patrïa
ambedui. 69
Nacqui sub Iulio,
ancor che fosse tardi,
e vissi a Roma sotto
’l buono Augusto
nel tempo de li dèi
falsi e bugiardi. 72
Poeta fui, e cantai
di quel giusto
figliuol d’Anchise
che venne di Troia,
poi che ’l superbo
Ilïón fu combusto. 75
Ma tu perché ritorni
a tanta noia?
perché non sali il
dilettoso monte
ch’è principio e
cagion di tutta gioia?". 78
"Or se’ tu quel
Virgilio e quella fonte
che spandi di parlar
sì largo fiume?",
rispuos’io lui con
vergognosa fronte. 81
"O de li altri
poeti onore e lume,
vagliami ’l lungo
studio e ’l grande amore
che m’ ha fatto
cercar lo tuo volume. 84
Tu se’ lo mio maestro
e ’l mio autore,
tu se’ solo colui da
cu’ io tolsi
lo bello stilo che m’
ha fatto onore. 87
Vedi la bestia per
cu’ io mi volsi;
aiutami da lei,
famoso saggio,
ch’ella mi fa tremar
le vene e i polsi". 90
"A te convien
tenere altro vïaggio",
rispuose, poi che
lagrimar mi vide,
"se vuo’ campar
d’esto loco selvaggio; 93
ché questa bestia,
per la qual tu gride,
non lascia altrui
passar per la sua via,
ma tanto lo ’mpedisce
che l’uccide; 96
e ha natura sì
malvagia e ria,
che mai non empie la
bramosa voglia,
e dopo ’l pasto ha
più fame che pria. 99
Molti son li animali
a cui s’ammoglia,
e più saranno ancora,
infin che ’l veltro
verrà, che la farà
morir con doglia. 102
Questi non ciberà
terra né peltro,
ma sapïenza, amore e
virtute,
e sua nazion sarà tra
feltro e feltro. 105
Di quella umile
Italia fia salute
per cui morì la
vergine Cammilla,
Eurialo e Turno e
Niso di ferute. 108
Questi la caccerà per
ogne villa,
fin che l’avrà
rimessa ne lo ’nferno,
là onde ’nvidia prima
dipartilla. 111
Ond’io per lo tuo me’
penso e discerno
che tu mi segui, e io
sarò tua guida,
e trarrotti di qui
per loco etterno; 114
ove udirai le
disperate strida,
vedrai li antichi
spiriti dolenti,
ch’a la seconda morte
ciascun grida; 117
e vederai color che
son contenti
nel foco, perché
speran di venire
quando che sia a le
beate genti. 120
A le quai poi se tu
vorrai salire,
anima fia a ciò più
di me degna:
con lei ti lascerò
nel mio partire; 123
ché quello imperador
che là sù regna,
perch’i’ fu’
ribellante a la sua legge,
non vuol che ’n sua
città per me si vegna. 126
In tutte parti impera
e quivi regge;
quivi è la sua città
e l’alto seggio:
oh felice colui cu’
ivi elegge!". 129
E io a lui:
"Poeta, io ti richeggio
per quello Dio che tu
non conoscesti,
acciò ch’io fugga
questo male e peggio, 132
che tu mi meni là
dov’or dicesti,
sì ch’io veggia la
porta di san Pietro
e color cui tu fai
cotanto mesti". 135
Allor si mosse, e io
li tenni dietro.
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