A ME MI PIACE...SI DICE O NON SI DICE
Nella pubblicità televisiva di un caffè un famoso attore comico si è servito di questo “a me mi piace” pensando di fare una simpatica sgrammaticatura per attirare l’attenzione.
L’attenzione c’è stata senz’altro; la sgrammaticatura no.
Si tratta semplicemente dell’uso di un elemento sovrabbondante, inutile secondo la logica, ma utilissimo per dare alla frase un’efficacia particolare.
È insomma la scelta dello stile che giustifica la lieve forzatura grammaticale dell’espressione: il valore rafforzativo di quel mi pleonastico è chiaro.
Altri esempi: “a me non me la dai a intendere”; “lo so che a te non ti va questa faccenda”, “a voi non vi dirò più niente”.
Ma attenzione: non dimentichiamo che la frase non solo corretta, ma anche preferibile nel novanta per cento dei casi è “a me piace”, e così dicasi per gli altri esempi: “a me non la dai a intendere”, “lo so che a te non va questa faccenda”, “a voi non dirò più niente”.
A me mi, a te ti, a noi ci, a voi vi eccetera, seppure ammissibili, sono licenze stilistiche: sarà il caso di non abusarne.
Tratto dai Dizionari del Corriere
Paolo Belli - "A me mi piace"
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