Ci risiamo con le parolacce?
No ragazzi forse non mi
crederete ma il significato di cacchio secondo il dizionario italiano è
GERMOGLIO.
Nel linguaggio agricolo per cacchio s’intendono i germogli
della vite o di altri tipi di rampicanti e infestanti. In effetti, però, se il
vostro primo pensiero è andato ad una parolaccia, non avete tutti i torti, perché
il termine è oggigiorno ormai anche un’alternativa o sinonimo, meno scurrile,
del ben più volgare “cazzo”.
La parola cacchio, come peraltro succede alla sua omologa
più volgare, viene utilizzata in moltissimi contesti, spesso dialettali,
assumendo significati anche molto diversi e per nulla scurrili.
Il suo ruolo di sinonimo nei confronti del fratello volgare,
la parola cacchio lo ha acquisito grazie al cinema e alla televisione degli
anni ottanta; nei primi anni ottanta e novanta infatti, volgarità e malcostume
erano da considerarsi tabù e venivano perciò fortemente censurate.
Ciò portò “per
esigenze espressive” alla ribalta, termini simili e sostitutivi che pur
mantenendo o mitigando i più volgari, li richiamavano come senso e assonanza.
Nel cinema fece sapiente uso del termine Totò, coniando la
celebre espressione "Tomo tomo, cacchio cacchio", ormai entrata a
pieno diritto nel linguaggio comune, che non ha valenza scurrile ma indica un
modo di compiere un'azione dando l'impressione di essere mogi e dimessi,
facendo finta di nulla ma, in realtà, con un preciso secondo fine.
“Totò in Gli onorevoli. E allora sapete cosa vi dico? Che siete
degli ingenui, dei fessacchiotti, dei deficenti, degli incoscenti! Perchè io
una volta eletto per Roccasecca non potrò fare un cacchio dico cacchio!! Perchè
questi signori appena saranno eletti poseranno i loro sporchi deredani sugli
scanni della camera e penseranno solo ai loro sporchi affari, vi faranno fessi
perchè sono papponi!! Papponi!!”
Espressioni
con cacchio:
Eh… che cacchio! Stai attento guarda a dove metti i piedi.
Col cacchio che te lo regalo è nuovo!
È proprio un cacchione, non ne combina una giusta!
Che cacchio vuoi? Smettila di fissarmi a quel modo!
Sti’ cacchi! Quanto è bona tua sorella!
E tornato indietro cacchio cacchio, tomo tomo, come se non
fosse successo nulla.
Dove vado io, non sono cacchi tuoi.
ER TESTAMENTO DI MEO DER CACCHIO
TRILUSSA
Oggi li ventinove de febbraro
der millenovecentotrentasette,
doppo bevuto dodici fojette
assieme ar dottor P., reggio notaro,
benché nun sia sicuro de me stesso
dispongo e stabbilisco quanto appresso.
Io sottoscritto meo del Cacchio, lascio
li vizzi e l’abbitudini cattive
a mi’ nipote Oreste che, se vive,
n’ha da fa’, come me, d’ogni erba un fascio,
se invece more passo l’incombenza
a un istituto di beneficienza.
Lascio a l’Umanità, senza speranza,
quer tanto de bon senso e de criterio
che m’a ajutato a nun pijà sur serio
chi un giorno predicò la Fratellanza,
eppoi, fatti li conti a tavolino,
condannò Abbele e libberò Caino.
Lascio un consijo a Zeppo er cammeriere,
che se lamenta d’esse trovatello,
de nun cercà se er padre è questo o quello,
ma cerchi de fa’ sempre er su’ dovere
pe’ rende conto solamente a Dio
s’è fijo d’un cristiano o d’un giudio.
Lego er pudore de li tempi antichi
a un vecchio professore moralista
che pe’ coprì le porcherie più in vista
spojava tutti l’arberi de fichi,
ma a la fine, rimasto senza foje,
lasciò scoperte quele de la moje.
Lascio a Mimì le pene che provai
quanno me venne a da’ l’urtimo addio:
- M’hai troppo compromessa, cocco mio…
Qua bisogna finilla, capirai…
Pippo sa tutto… nun è più prudente…
(E invece Pippo nun sapeva gnente)
A l’avvocato Coda, perché impari
a vive co’ la massima prudenza,
je lascio quela “crisi de coscenza”
che serve spesso a sistemà l’affari
e a mette ne lo stesso beverone
la convenienza co’ la convinzione.
A un’eccellenza… (scuserà l’ardire)
je lascio invece un piccolo rimprovero:
perché, dieci anni fa, quann’era povero,
annava a caccia de le cinque lire
e adesso che n’ha fatte a cappellate
nun riconosce più chi je l’aveva date?
A Tizzio, a Caio e a tutti queli fessi
rimasti sconosciuti fino a quanno
nun so’ arivati a un posto de comanno
je lascio er gusto d’ubbidì a se stessi:
così a la fine de la pantomima
ritorneranno fessi come prima.
A Mario P., che doppo er Concordato
nun attacca più moccoli e va in chiesa,
je lascerò, sia detto senza offesa,
er sospetto che c’abbia cojonato
e fosse più sincero ne li tempi
quanno ce dava li cattivi esempi.
Lego ar portiere mio, ch’è sordomuto,
la libbertà de di’ come la pensa,
e a Giovannino l’oste, in ricompensa
de tutt’er vino che me so’ bevuto,
je legherò le verità sincere
rimaste in fonno all’urtimo bicchiere.
Lascio a Zi’ Pietro un po’ de dignità,
che cià perfino la gattina mia
che appena ha fatto quarche porcheria
la copre co’ la terra e se ne va,
mentre Zi’ Pietro, invece de coprilla,
ce passò sopra e fabbricò una villa.
Lascio a l’amichi li castelli in aria
ch’ho fabbricato ne la stratosfera,
dove ciagnedi in volo quela sera
con una principessa immagginaria
e feci un atterraggio de fortuna
in mezzo a la risata de la luna.
E a mi’ cuggino Arturo, che nun bada
che a le patacche de la vanagloria,
lascio l’augurio de piantà la boria
pe’ vive in pace e seguità la strada
senza bisogno de nessun pennacchio,
ma sempre a testa dritta!
MEO DEL CACCHIO
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