Prima vi offro una
versione un po’ alternativa:
La divina commedia a fumetti…
Ed ora la versione
classica del quarto canto dell’Inferno!
Un tuono fragoroso risveglia Dante dal sonno in cui era
caduto sulla riva dell’ acheronte. Egli si guarda intorno e si accorge di
trovarsi sull’orlo della voragine infernale, buia e profonda. E’ preso da
timore nel vedere che Virgilio impallidisce, ma il maestro lo rassicura: il suo
pallore non è dovuto a spavento, ma a pietà per la sorte dei dannati.Entrati
nel primo cerchio infernale, che è costituito dal limbo, i due poeti odono i
sospiri delle anime di coloro che vissero una vita virtuosa senza aver ricevuto
il battesimo. Per non essere state cristiane, non possono ascendere al
paradiso; d’altra parte, non avendo in sé altra macchia se non il peccato di
Adamo, non sono sottoposte a tormenti: la loro pena è tutta spirituale: vivono
nel desiderio, mai appagato, di vedere Dio.Quattro spiriti si fanno incontro ai
poeti: sono le anime di Omero, Orazio, Ovidio e Lucano, venute a rendere onore
a Virgilio…
Canto quarto, nel quale mostra del primo cerchio de l’inferno, luogo
detto Limbo, e quivi tratta de la pena de’ non battezzati e de’ valenti uomini,
li quali moriron innanzi l’avvenimento di Gesù Cristo e non conobbero
debitamente Idio; e come Iesù Cristo trasse di questo luogo molte anime.
Ruppemi l’alto sonno
ne la testa
un greve truono, sì
ch’io mi riscossi
come persona ch’è per
forza desta; 3
e l’occhio riposato
intorno mossi,
dritto levato, e fiso
riguardai
per conoscer lo loco
dov’io fossi. 6
Vero è che ’n su la
proda mi trovai
de la valle d’abisso
dolorosa
che ’ntrono accoglie
d’infiniti guai. 9
Oscura e profonda era
e nebulosa
tanto che, per ficcar
lo viso a fondo,
io non vi discernea
alcuna cosa. 12
"Or discendiam
qua giù nel cieco mondo",
cominciò il poeta
tutto smorto.
"Io sarò primo,
e tu sarai secondo". 15
E io, che del color
mi fui accorto,
dissi: "Come
verrò, se tu paventi
che suoli al mio
dubbiare esser conforto?". 18
Ed elli a me:
"L’angoscia de le genti
che son qua giù, nel
viso mi dipigne
quella pietà che tu
per tema senti. 21
Andiam, ché la via
lunga ne sospigne".
Così si mise e così
mi fé intrare
nel primo cerchio che
l’abisso cigne. 24
Quivi, secondo che
per ascoltare,
non avea pianto mai
che di sospiri
che l’aura etterna
facevan tremare; 27
ciò avvenia di duol
sanza martìri,
ch’avean le turbe,
ch’eran molte e grandi,
d’infanti e di
femmine e di viri. 30
Lo buon maestro a me:
"Tu non dimandi
che spiriti son
questi che tu vedi?
Or vo’ che sappi,
innanzi che più andi, 33
ch’ei non peccaro; e
s’elli hanno mercedi,
non basta, perché non
ebber battesmo,
ch’è porta de la fede
che tu credi; 36
e s’e’ furon dinanzi
al cristianesmo,
non adorar
debitamente a Dio:
e di questi cotai son
io medesmo. 39
Per tai difetti, non
per altro rio,
semo perduti, e sol
di tanto offesi
che sanza speme
vivemo in disio". 42
Gran duol mi prese al
cor quando lo ’ntesi,
però che gente di
molto valore
conobbi che ’n quel
limbo eran sospesi. 45
"Dimmi, maestro
mio, dimmi, segnore",
comincia’ io per
volere esser certo
di quella fede che
vince ogne errore: 48
"uscicci mai
alcuno, o per suo merto
o per altrui, che poi
fosse beato?".
E quei che ’ntese il
mio parlar coverto, 51
rispuose: "Io
era nuovo in questo stato,
quando ci vidi venire
un possente,
con segno di vittoria
coronato. 54
Trasseci l’ombra del
primo parente,
d’Abèl suo figlio e
quella di Noè,
di Moïsè legista e
ubidente; 57
Abraàm patrïarca e
Davìd re,
Israèl con lo padre e
co’ suoi nati
e con Rachele, per
cui tanto fé, 60
e altri molti, e feceli
beati.
E vo’ che sappi che,
dinanzi ad essi,
spiriti umani non
eran salvati". 63
Non lasciavam l’andar
perch’ei dicessi,
ma passavam la selva
tuttavia,
la selva, dico, di
spiriti spessi. 66
Non era lunga ancor
la nostra via
di qua dal sonno,
quand’io vidi un foco
ch’emisperio di
tenebre vincia. 69
Di lungi n’eravamo
ancora un poco,
ma non sì ch’io non
discernessi in parte
ch’orrevol gente
possedea quel loco. 72
"O tu ch’onori
scïenzïa e arte,
questi chi son c’
hanno cotanta onranza,
che dal modo de li
altri li diparte?". 75
E quelli a me:
"L’onrata nominanza
che di lor suona sù
ne la tua vita,
grazïa acquista in
ciel che sì li avanza". 78
Intanto voce fu per
me udita:
"Onorate
l’altissimo poeta;
l’ombra sua torna,
ch’era dipartita". 81
Poi che la voce fu
restata e queta,
vidi quattro
grand’ombre a noi venire:
sembianz’avevan né
trista né lieta. 84
Lo buon maestro
cominciò a dire:
"Mira colui con
quella spada in mano,
che vien dinanzi ai
tre sì come sire: 87
quelli è Omero poeta
sovrano;
l’altro è Orazio
satiro che vene;
Ovidio è ’l terzo, e
l’ultimo Lucano. 90
Però che ciascun meco
si convene
nel nome che sonò la
voce sola,
fannomi onore, e di
ciò fanno bene". 93
Così vid’i’ adunar la
bella scola
di quel segnor de
l’altissimo canto
che sovra li altri
com’aquila vola. 96
Da ch’ebber ragionato
insieme alquanto,
volsersi a me con
salutevol cenno,
e ’l mio maestro
sorrise di tanto; 99
e più d’onore ancora
assai mi fenno,
ch’e’ sì mi fecer de
la loro schiera,
sì ch’io fui sesto
tra cotanto senno. 102
Così andammo infino a
la lumera,
parlando cose che ’l
tacere è bello,
sì com’era ’l parlar
colà dov’era. 105
Venimmo al piè d’un
nobile castello,
sette volte cerchiato
d’alte mura,
difeso intorno d’un
bel fiumicello. 108
Questo passammo come
terra dura;
per sette porte
intrai con questi savi:
giugnemmo in prato di
fresca verdura. 111
Genti v’eran con
occhi tardi e gravi,
di grande autorità
ne’ lor sembianti:
parlavan rado, con
voci soavi. 114
Traemmoci così da
l’un de’ canti,
in loco aperto,
luminoso e alto,
sì che veder si
potien tutti quanti. 117
Colà diritto, sovra
’l verde smalto,
mi fuor mostrati li
spiriti magni,
che del vedere in me
stesso m’essalto. 120
I’ vidi Eletra con
molti compagni,
tra ’ quai conobbi
Ettòr ed Enea,
Cesare armato con li occhi
grifagni. 123
Vidi Cammilla e la
Pantasilea;
da l’altra parte vidi
’l re Latino
che con Lavina sua
figlia sedea. 126
Vidi quel Bruto che
cacciò Tarquino,
Lucrezia, Iulia,
Marzïa e Corniglia;
e solo, in parte,
vidi ’l Saladino. 129
Poi ch’innalzai un
poco più le ciglia,
vidi ’l maestro di
color che sanno
seder tra filosofica
famiglia. 132
Tutti lo miran, tutti
onor li fanno:
quivi vid’ïo Socrate
e Platone,
che ’nnanzi a li
altri più presso li stanno; 135
Democrito che ’l
mondo a caso pone,
Dïogenès, Anassagora
e Tale,
Empedoclès, Eraclito
e Zenone; 138
e vidi il buono
accoglitor del quale,
Dïascoride dico; e
vidi Orfeo,
Tulïo e Lino e Seneca
morale; 141
Euclide geomètra e
Tolomeo,
Ipocràte, Avicenna e
Galïeno,
Averoìs che ’l gran
comento feo. 144
Io non posso ritrar
di tutti a pieno,
però che sì mi caccia
il lungo tema,
che molte volte al
fatto il dir vien meno. 147
La sesta compagnia in
due si scema:
per altra via mi mena
il savio duca,
fuor de la queta, ne
l’aura che trema. 150
E vegno in parte ove
non è che luca.
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