La
porta dell'inferno
« 'Per
me si va ne la città dolente,
per me
si va ne l'etterno dolore,
per me
si va tra la perduta gente.' »
Prima
vi offro una versione un po’ alternativa:
La divina commedia a fumetti…
Ed ora
la versione classica del primo canto dell’Inferno!
Canto
terzo, nel quale tratta de la porta e de l’entrata de l’inferno e del fiume
d’Acheronte, de la pena di coloro che vissero sanza opere di fama degne, e come
il demonio Caron li trae in sua nave e come elli parlò a l’auttore; e tocca qui
questo vizio ne la persona di papa Cilestino.
per me
si va ne l'etterno dolore,
per me
si va tra la perduta gente. 3
Giustizia
mosse il mio alto fattore;
fecemi
la divina podestate,
la
somma sapïenza e ’l primo amore. 6
Dinanzi
a me non fuor cose create
se non
etterne, e io etterna duro.
Lasciate
ogne speranza, voi ch’intrate’. 9
Queste
parole di colore oscuro
vid’ïo
scritte al sommo d’una porta;
per
ch’io: "Maestro, il senso lor m’è duro". 12
Ed elli
a me, come persona accorta:
"Qui
si convien lasciare ogne sospetto;
ogne
viltà convien che qui sia morta. 15
Noi
siam venuti al loco ov’i’ t’ ho detto
che tu
vedrai le genti dolorose
c’
hanno perduto il ben de l’intelletto". 18
E poi
che la sua mano a la mia puose
con
lieto volto, ond’io mi confortai,
mi mise
dentro a le segrete cose. 21
Quivi
sospiri, pianti e alti guai
risonavan
per l’aere sanza stelle,
per
ch’io al cominciar ne lagrimai. 24
Diverse
lingue, orribili favelle,
parole
di dolore, accenti d’ira,
voci
alte e fioche, e suon di man con elle 27
facevano
un tumulto, il qual s’aggira
sempre
in quell’aura sanza tempo tinta,
come la
rena quando turbo spira. 30
E io
ch’avea d’error la testa cinta,
dissi:
"Maestro, che è quel ch’i’ odo?
e che
gent’è che par nel duol sì vinta?". 33
Ed elli
a me: "Questo misero modo
tegnon
l’anime triste di coloro
che
visser sanza ’nfamia e sanza lodo. 36
Mischiate
sono a quel cattivo coro
de li
angeli che non furon ribelli
né fur
fedeli a Dio, ma per sé fuoro. 39
Caccianli
i ciel per non esser men belli,
né lo
profondo inferno li riceve,
ch’alcuna
gloria i rei avrebber d’elli". 42
E io:
"Maestro, che è tanto greve
a lor
che lamentar li fa sì forte?".
Rispuose:
"Dicerolti molto breve. 45
Questi
non hanno speranza di morte,
e la
lor cieca vita è tanto bassa,
che
’nvidïosi son d’ogne altra sorte. 48
Fama di
loro il mondo esser non lassa;
misericordia
e giustizia li sdegna:
non
ragioniam di lor, ma guarda e passa". 51
E io,
che riguardai, vidi una ’nsegna
che
girando correva tanto ratta,
che
d’ogne posa mi parea indegna; 54
e
dietro le venìa sì lunga tratta
di
gente, ch’i’ non averei creduto
che
morte tanta n’avesse disfatta. 57
Poscia
ch’io v’ebbi alcun riconosciuto,
vidi e
conobbi l’ombra di colui
che
fece per viltade il gran rifiuto. 60
Incontanente
intesi e certo fui
che
questa era la setta d’i cattivi,
a Dio
spiacenti e a’ nemici sui. 63
Questi
sciaurati, che mai non fur vivi,
erano
ignudi e stimolati molto
da
mosconi e da vespe ch’eran ivi. 66
Elle
rigavan lor di sangue il volto,
che,
mischiato di lagrime, a’ lor piedi
da
fastidiosi vermi era ricolto. 69
E poi
ch’a riguardar oltre mi diedi,
vidi
genti a la riva d’un gran fiume;
per
ch’io dissi: "Maestro, or mi concedi 72
ch’i’
sappia quali sono, e qual costume
le fa
di trapassar parer sì pronte,
com’i’
discerno per lo fioco lume". 75
Ed elli
a me: "Le cose ti fier conte
quando
noi fermerem li nostri passi
su la
trista riviera d’Acheronte". 78
Allor
con li occhi vergognosi e bassi,
temendo
no ’l mio dir li fosse grave,
infino
al fiume del parlar mi trassi. 81
Ed ecco
verso noi venir per nave
un
vecchio, bianco per antico pelo,
gridando:
"Guai a voi, anime prave! 84
Non
isperate mai veder lo cielo:
i’
vegno per menarvi a l’altra riva
ne le
tenebre etterne, in caldo e ’n gelo. 87
E tu
che se’ costì, anima viva,
pàrtiti
da cotesti che son morti".
Ma poi
che vide ch’io non mi partiva, 90
disse:
"Per altra via, per altri porti
verrai
a piaggia, non qui, per passare:
più
lieve legno convien che ti porti". 93
E ’l
duca lui: "Caron, non ti crucciare:
vuolsi
così colà dove si puote
ciò che
si vuole, e più non dimandare". 96
Quinci
fuor quete le lanose gote
al
nocchier de la livida palude,
che
’ntorno a li occhi avea di fiamme rote. 99
Ma quell’anime,
ch’eran lasse e nude,
cangiar
colore e dibattero i denti,
ratto
che ’nteser le parole crude. 102
Bestemmiavano
Dio e lor parenti,
l’umana
spezie e ’l loco e ’l tempo e ’l seme
di lor
semenza e di lor nascimenti. 105
Poi si
ritrasser tutte quante insieme,
forte
piangendo, a la riva malvagia
ch’attende
ciascun uom che Dio non teme. 108
Caron
dimonio, con occhi di bragia
loro
accennando, tutte le raccoglie;
batte
col remo qualunque s'adagia. 111
Come
d’autunno si levan le foglie
l’una
appresso de l’altra, fin che ’l ramo
vede a
la terra tutte le sue spoglie, 114
similemente
il mal seme d’Adamo
gittansi
di quel lito ad una ad una,
per
cenni come augel per suo richiamo. 117
Così
sen vanno su per l’onda bruna,
e
avanti che sien di là discese,
anche
di qua nuova schiera s’auna. 120
"Figliuol
mio", disse 'l maestro cortese,
"quelli
che muoion ne l'ira di Dio
tutti
convegnon qui d'ogne paese; 123
e
pronti sono a trapassar lo rio,
ché la
divina giustizia li sprona,
sì che
la tema si volve in disio. 126
Quinci
non passa mai anima buona;
e però,
se Caron di te si lagna,
ben
puoi sapere omai che ’l suo dir suona". 129
Finito
questo, la buia campagna
tremò
sì forte, che de lo spavento
la
mente di sudore ancor mi bagna. 132
La
terra lagrimosa diede vento,
che
balenò una luce vermiglia
la qual
mi vinse ciascun sentimento; 135
e caddi
come l’uom cui sonno piglia.
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