Passa ai contenuti principali

DIVINA COMMEDIA INFERNO CANTO DECIMO

Canto decimo, ove tratta del sesto cerchio de l’inferno e de la pena de li eretici, e in forma d’indovinare in persona di messer Farinata predice molte cose e di quelle che avvennero a Dante, e solve una questione.
Entrati nella città di Dite, i due poeti si avviano per un sentiero che corre fra le mura e quella parte della necropoli degli eretici ove sono puniti gli epicurei, negatori dell’immortalità dell’anima. Improvvisamente, da uno degli avelli infuocati, una voce prega Dante di fermarsi: è quella del capo ghibellino Farinata degli Uberti che, dal suo modo di parlare, ha riconosciuto nel Poeta un compatriota.
Dante si avvicina al sepolcro nel quale Farinata sta in piedi, visibile dalla cintola in su.
Tutti i pensieri di questo dannato sono rivolti al mondo dei vivi, a Firenze, al suo partito: egli vuole anzitutto sapere se Dante appartiene a una famiglia guelfa o ghibellina.
Non appena il Poeta gli rivela il nome dei suoi avi, si vanta di averli per ben due volte debellati. Dante ribatte che essi non furono vinti, ma solo mandati in esilio e che dall’esilio seppero tornare sia la prima sia la seconda volta, laddove gli Uberti furono banditi per sempre dalla città.

A questo punto il dialogo è interrotto dall’angosciosa domanda che un altro eretico, egli pure fiorentino, Cavalcante dei Cavalcanti, rivolge a Dante: " Se la tua intelligenza ti ha valso il privilegio di visitare, vivo, il regno dei morti, perché mio figlio Guido non è con te?"
 Il Poeta indugia nel rispondere e Cavalcante, credendo che il figlio sia morto, ricade, senza una parola, nel suo sepolcro. Riprende a parlare Farinata, che vuole sapere il motivo di tanto accanimento contro la sua famiglia.
Dante gli fa il nome di un fiume - l’Arbia - le cui acque furono arrossate dal sangue dei Fiorentini che nel 1260 morirono combattendo contro i fuorusciti ghibellini comandati appunto da lui, Farinata degli Uberti: e questi ricorda allora, a suo merito, come fu lui solo, dopo quella sanguinosa giornata, ad opporsi a viso aperto al progetto, avanzato dagli altri ghibellini, di radere al suolo la vinta Firenze. L’episodio si conclude con la spiegazione che Farinata fornisce a Dante sulla conoscenza che i dannati hanno del corso degli eventi terreni.
 I due pellegrini riprendono quindi il loro cammino dirigendosi verso la zona centrale del cerchio.


Ora sen va per un secreto calle,
tra ’l muro de la terra e li martìri,
lo mio maestro, e io dopo le spalle. 3

"O virtù somma, che per li empi giri
mi volvi", cominciai, "com’a te piace,
parlami, e sodisfammi a’ miei disiri. 6

La gente che per li sepolcri giace
potrebbesi veder? già son levati
tutt’i coperchi, e nessun guardia face". 9

E quelli a me: "Tutti saran serrati
quando di Iosafàt qui torneranno
coi corpi che là sù hanno lasciati. 12

Suo cimitero da questa parte hanno
con Epicuro tutti suoi seguaci,
che l’anima col corpo morta fanno. 15

Però a la dimanda che mi faci
quinc’entro satisfatto sarà tosto,
e al disio ancor che tu mi taci". 18

E io: "Buon duca, non tegno riposto
a te mio cuor se non per dicer poco,
e tu m’ hai non pur mo a ciò disposto". 21

"O Tosco che per la città del foco
vivo ten vai così parlando onesto,
piacciati di restare in questo loco. 24

La tua loquela ti fa manifesto
di quella nobil patrïa natio,
a la qual forse fui troppo molesto". 27

Subitamente questo suono uscìo
d’una de l’arche; però m’accostai,
temendo, un poco più al duca mio. 30

Ed el mi disse: "Volgiti! Che fai?
Vedi là Farinata che s’è dritto:
da la cintola in sù tutto ’l vedrai". 33

Io avea già il mio viso nel suo fitto;
ed el s’ergea col petto e con la fronte
com’avesse l’inferno a gran dispitto. 36

E l’animose man del duca e pronte
mi pinser tra le sepulture a lui,
dicendo: "Le parole tue sien conte". 39

Com’io al piè de la sua tomba fui,
guardommi un poco, e poi, quasi sdegnoso,
mi dimandò: "Chi fuor li maggior tui?". 42

Io ch’era d’ubidir disideroso,
non gliel celai, ma tutto gliel’apersi;
ond’ei levò le ciglia un poco in suso; 45

poi disse: "Fieramente furo avversi
a me e a miei primi e a mia parte,
sì che per due fïate li dispersi". 48

"S’ei fur cacciati, ei tornar d’ogne parte",
rispuos’io lui, "l’una e l’altra fïata;
ma i vostri non appreser ben quell’arte". 51

Allor surse a la vista scoperchiata
un’ombra, lungo questa, infino al mento:
credo che s’era in ginocchie levata. 54

Dintorno mi guardò, come talento
avesse di veder s’altri era meco;
e poi che ’l sospecciar fu tutto spento, 57

piangendo disse: "Se per questo cieco
carcere vai per altezza d’ingegno,
mio figlio ov’è? e perché non è teco?". 60

E io a lui: "Da me stesso non vegno:
colui ch’attende là, per qui mi mena
forse cui Guido vostro ebbe a disdegno". 63

Le sue parole e ’l modo de la pena
m’avean di costui già letto il nome;
però fu la risposta così piena. 66

Di sùbito drizzato gridò: "Come?
dicesti "elli ebbe"? non viv’elli ancora?
non fiere li occhi suoi lo dolce lume?". 69

Quando s’accorse d’alcuna dimora
ch’io facëa dinanzi a la risposta,
supin ricadde e più non parve fora. 72

Ma quell’altro magnanimo, a cui posta
restato m’era, non mutò aspetto,
né mosse collo, né piegò sua costa; 75

e sé continüando al primo detto,
"S’elli han quell’arte", disse, "male appresa,
ciò mi tormenta più che questo letto. 78

Ma non cinquanta volte fia raccesa
la faccia de la donna che qui regge,
che tu saprai quanto quell’arte pesa. 81

E se tu mai nel dolce mondo regge,
dimmi: perché quel popolo è sì empio
incontr’a’ miei in ciascuna sua legge?". 84

Ond’io a lui: "Lo strazio e ’l grande scempio
che fece l’Arbia colorata in rosso,
tal orazion fa far nel nostro tempio". 87

Poi ch’ebbe sospirando il capo mosso,
"A ciò non fu’ io sol", disse, "né certo
sanza cagion con li altri sarei mosso. 90

Ma fu’ io solo, là dove sofferto
fu per ciascun di tòrre via Fiorenza,
colui che la difesi a viso aperto". 93

"Deh, se riposi mai vostra semenza",
prega’ io lui, "solvetemi quel nodo
che qui ha ’nviluppata mia sentenza. 96

El par che voi veggiate, se ben odo,
dinanzi quel che ’l tempo seco adduce,
e nel presente tenete altro modo". 99

"Noi veggiam, come quei c’ ha mala luce,
le cose", disse, "che ne son lontano;
cotanto ancor ne splende il sommo duce. 102

Quando s’appressano o son, tutto è vano
nostro intelletto; e s’altri non ci apporta,
nulla sapem di vostro stato umano. 105

Però comprender puoi che tutta morta
fia nostra conoscenza da quel punto
che del futuro fia chiusa la porta". 108

Allor, come di mia colpa compunto,
dissi: "Or direte dunque a quel caduto
che ’l suo nato è co’ vivi ancor congiunto; 111

e s’i’ fui, dianzi, a la risposta muto,
fate i saper che ’l fei perché pensava
già ne l’error che m’avete soluto". 114

E già ’l maestro mio mi richiamava;
per ch’i’ pregai lo spirto più avaccio
che mi dicesse chi con lu’ istava. 117

Dissemi: "Qui con più di mille giaccio:
qua dentro è ’l secondo Federico
e ’l Cardinale; e de li altri mi taccio". 120

Indi s’ascose; e io inver’ l’antico
poeta volsi i passi, ripensando
a quel parlar che mi parea nemico. 123

Elli si mosse; e poi, così andando,
mi disse: "Perché se’ tu sì smarrito?".
E io li sodisfeci al suo dimando. 126

"La mente tua conservi quel ch’udito
hai contra te", mi comandò quel saggio;
"e ora attendi qui", e drizzò ’l dito: 129

"quando sarai dinanzi al dolce raggio
di quella il cui bell’occhio tutto vede,
da lei saprai di tua vita il vïaggio". 132

Appresso mosse a man sinistra il piede:
lasciammo il muro e gimmo inver’ lo mezzo
per un sentier ch’a una valle fiede, 135


che ’nfin là sù facea spiacer suo lezzo.

Commenti

I nostri post più amati

LA CONIUGAZIONE DEL VERBO ESSERE - TABELLA COMPLETA

LE TAVOLE DEI VERBI LA CONIUGAZIONE DEL VERBO ESSERE

I CONNETTIVI TESTUALI NELLA LINGUA ITALIANA

  I connettivi in linguistica sono quelle espressioni che servono per unire , legare, le parti logiche di un discorso, di una frase. Sono cioè delle forme invariabili (congiunzioni, locuzioni, ecc.), che funzionano da ponte per unire in modo logico i diversi contenuti di un testo. Sono uscita prima questa mattina, eppure , non ho fatto in tempo!                                                 Connettivo La funzione di connettivo può essere svolta da parole di diversa natura grammaticale ossia: Preposizioni:   Ho pensato di invitarti a pranzo domani. Congiunzioni come ma, però, ciononostante, perciò, finché, che, dunque, perché, se, malgrado che, affinché , ecc. : Non ho studiato perché stavo molto male. Avverbi e le locuzioni avverbiali come così, allora, successivamente, cioè, inoltre ecc.: Penso quindi sono. Verbi :  Abbiamo cantato, ballato, mangiato e chiacchierato insieme, riassumendo ci siamo divertiti molto! Alcune espressioni come da u

AVERE SIGNIFICATO E CONIUGAZIONE - TABELLA COMPLETA

Il verbo avere ha diversi utilizzi, impariamo a distinguerne alcuni e a ricordarci della H . La H in italiano è una lettera muta che in alcune forme del verbo avere assume una grande importanza. Il primo significato del verbo avere è quello di POSSEDERE in riferimento a beni materiali (ho una bicicletta), doti morali, qualità, titoli o anche a qualità fisiche e priscologiche (ho le gambe corte, ho tanto coraggio). Io ho una casa al mare. Maria ha un cane. Giorgio ha tre nipoti. Il verbo avere può venire utilizzato col significato di SENTIRE, AVERE LA SENSAZIONE DI: Oggi ho molto freddo. Luisa ha mal di pancia. Gli studenti hanno sete. Il professore ha sonno. Il verbo avere, così come il verbo essere viene anche utilizzato come AUSILIARE ossia come aiuto agli altri verbi (ausilio=aiuto) per formare i tempi composti. I eri ho avuto la febbre. Uscirai di casa quando avrai fatto i compiti. Se tu avessi studiato meglio, avresti passato l'esame. Il verbo avere se seguito dalla prep

Boom-Auch-Crash-Grr-Boing

ONOMATOPEA  È una figura retorica. L’onomatopea è un'espressione o parola che riproduce direttamente un rumore o un suono naturale, rievocandola acusticamente.  Il suono evoca il rumore dello strumento che lo produce. L’onomatopea viene molto usata in letteratura e in fumettistica, si tratta di un segno grafico che non ha alcun significato se non viene associato al suono o rumore di cui è l’imitazione (crash=il suono di un bicchiere che si rompe; sob-sob= quello di un uomo che piange). Sono parole onomatopeiche ad esempio: sciacquio, gorgoglìo, tuffo, sciabordio, boato, scoppio, clangore, fragore ,fruscio, sussurro, lampo, ticchettio, tintinnio. Esempi conosciuti da tutti sono i versi degli animali: Il cane fa bau-bau Il gatto fa miao-miao Il pulcino fa pio-pio L’uccellino fa cip-cip Se volete vedere come vengono scritti onomatopeicamente i versi degli animali nelle maggiori lingue, allora fate CLICK Un altro campo in cui le onomatopee sono usatissi

Il vocabolario dell'estate italiana

L’estate è quel momento in cui fa troppo caldo per fare quelle cose per cui faceva troppo freddo d’inverno. (Mark Twain) Un’ estate italiana!   Parole e frasi legate all’estate in italiano. Evviva è arrivata l’estate, la mia stagione preferita. Oggi vi presento alcune parole e alcune frasi essenziali per vivere un’estate italiana. Abbronzarsi – Prendere il sole Il sole italiano al mare , in montagna, in campagna ma anche in città è forte. Quando il sole è forte è caldo in italiano si dice che “ batte ”…” Il sole batte oggi !” potrete sentire persino frasi come “ Oggi il sole picchia forte !” ma non vi preoccupate, non vi farà un occhio nero! Per proteggervi usate la crema solare scegliendo il giusto “ fattore di protezione”, altrimenti rischierete di ustionarvi (bruciarvi – scottarvi ).  Fare il bagno – Nuotare L’ acqua d’estate è meravigliosa per rinfrescarsi e divertirsi, si può fare il bagno , sguazzare ma anche allenarsi e nuotare (ossia fare attivit

Esclamazioni e Interiezioni

GRAMMATICHIAMO LE ESCLAMAZIONI O INTERIEZIONI Sono suoni, parole, o gruppi di parole che esprimono sentimenti e sensazioni improvvisi (meraviglia, allegria, dolore, rabbia, sorpresa ecc.). Si tratta di una componente invariabile il cui valore si comprende dal tono della voce e la mimica di chi parla. L’interiezione è seguita dal punto esclamativo, che può però essere collocato anche alla fine della frase. Se l'interiezione o esclamazione è composta da una sola vocale oppure da una consonante, la lettera h va posta dopo la vocale o la consonante (ad esempio, uh!). Se invece è formata da due vocali, la lettera h va collocata in mezzo (ad esempio, ohi!). Alcune interiezioni come ad esempio ahimè, ohibò, ohimè richiedono l'accento grave (cioè quello che scende dall'alto verso il basso). In alcuni casi si trovano anche nomi, aggettivi, verbi e avverbi che assumono la funzione di interiezione o esclamazione: nomi: ad esempio, coraggio! animo! acc