Il 2021 è l‘anno che commemora i 700 anni della scomparsa di
Dante Alighieri, il 25 marzo sarà il giorno completamente a lui dedicato, detto
anche il “Dantedì”. Questa data è stata scelta perché proprio in questa
giornata gli studiosi ipotizzano abbia avuto inizio il viaggio simbolico che
Dante intraprese nella sua Divina Commedia.
Il 29 maggio 1265 è la data presunta del compleanno di Dante
detto anche dai più “il sommo poeta” della letteratura italiana, noto e stimato
in tutto il mondo.
Ma a distanza di più settecento anni da questa data, sono
ancora molti gli aneddoti, le curiosità e gli eventi che riguardano la sua
incredibile vita, la sua persona e le sue opere, che in pochi conoscono.
·
Sapevate ad esempio che il suo nome completo è
Durante di Alighiero degli Alighieri. In effetti un nome un po' lungo... no? Fu
anche per quello che lo “cambiò in Dante” molto più facile da ricordare e
incisivo!
·
Gli Alighieri erano una famiglia particolare: il
padre di Dante, Alighiero di Bellincione, faceva il cambiavalute, ma non solo,
pare addirittura che fosse un usuraio e che proprio usasse la sua posizione di
procuratore giudiziale del tribunale di Firenze per aumentare i suoi guadagni.
· Nell’opera di Dante sono frequenti gli svenimenti: questo particolare è presumibilmente influenzato dalla vita stesa del poeta, in quanto pare che Dante fosse epilettico.
·
Di Dante si racconta anche che avesse una
memoria davvero portentosa.
·
Le sue furono nozze programmate: tutti conoscono
la moglie di Dante, Gemma Donati, ma in pochi sanno che sin dall’età di 12 anni
il matrimonio era stato concordato dalle famiglie. I Donati erano una delle più
influenti famiglie di Firenze e il matrimonio tra Gemma e Dante, che avvenne
quando i due avevano 20 anni, era stato fissato con un contratto ben 8 anni
prima. Si pensa però che il matrimonio tra i due non sia stato proprio
felicissimo, dal momento che per Gemma Dante non scrisse mai neanche un verso e
non ci sono notizie della sua presenza al fianco del marito nel periodo
dell’esilio.
·
Il vero amore del vate fu Beatrice una fanciulla
a cui il poeta è legato da un amore profondo e puro ma che purtroppo muore in
giovane età nel 1290. La morte della sua
amata getta Dante in una profonda crisi: l’amore per la giovane donna si
trasforma assumendo un valore sempre più finalizzato all’impegno morale, alla
ricerca filosofica, alla passione per la verità e la giustizia che infine
portano Dante (a partire dal 1295) ad entrare attivamente e coscientemente
nella vita politica della sua città.
La sua carriera politica raggiunge l’apice nel 1300 quando Dante, guelfo di parte bianca, viene eletto priore (la carica più importante del comune fiorentino): il poeta è un politico moderato, che sostiene però in modo convinto l’autonomia della città di Firenze, che a suo parere doveva liberarsi dalle ingerenze del potere del Papa.
Questa posizione chiaramente era decisamente invisa (= mal
vista) da Bonifacio VIII (il papa dell’epoca) che per soffocare le idee di
indipendenza inviò a Firenze Carlo di Valois, fratello del re di Francia, con
l’intenzione nascosta di eliminare i guelfi bianchi dalla scena politica; Dante
e altri due ambasciatori si recarono dal Papa per convincerlo a evitare
l’intervento francese, ma era ormai troppo tardi!
Quando Carlo di Valois entra a Firenze per sostenere il
potere dei guelfi neri Dante se n’era già andato, condannato ingiustamente
all’esilio non fece mai più ritorno alla sua città natale.
·
Dante dovette andare in esilio, scappare per
riuscire a sfuggire alla condanna a morte che pendeva sulla sua testa. Questi
sono dati che si conoscono abbastanza bene, ma in pochi sanno che nell’ordine
di condanna la morte al Poeta sarebbe stata inflitta sul rogo.
·
Un’altra notizia che non molti conoscono sul
poeta è quella secondo cui, in base ad alcuni recenti studi, Dante soffriva di
narcolessia, malattia che porta a colpi di sonno improvvisi e repentini (vi
ricordate degli svenimenti di cui avevamo parlato). A raccontare questo suo
disagio fisico sarebbero proprio i suoi versi in cui descrive in modo perfetto
i sintomi.
·
Sapevate poi che il Paradiso è stato pubblicato
postumo dal figlio Jacopo ed è grazie alla sua attività promozionale che la
commedia è diventata così famosa.
Ai giovani italiani lo studio di Dante viene proposto già
alle scuole medie, in modo più superficiale.
La Divina Commedia invece è uno dei capisaldi del programma
di “Italiano” alle superiori.
Capiamo così come non sia affatto un caso che a noi italiani,
siano rimaste impresse numerose espressioni tratte dal suo capolavoro e che
spesso le usiamo quasi senza neanche saperlo. La sua influenza nella nostra
cultura è stata così elevata che citiamo Dante durante una conversazione
quotidiana spesso senza neanche rendercene conto.
Citiamo Dante quando diciamo ad esempio:
“Nel bel mezzo del
cammin di nostra vita” quando raccontiamo di un evento che accade in un certo
momento;
“Cosa fatta capo ha” che significa che ciò che è stato fatto
non può essere cambiato ma è alla fin fine sempre meglio di qualcosa che senza
una fine si trascina oltremodo. Questa frase viene pronunciata da Mosca dei
Lamberti che pare avesse dato inizio alla faida tra Guelfi e Ghibellini;
“Non ti curar di lór, ma guarda e passa”, lo dice Virgilio
indicando a Dante i vili e gli ignavi di cui non è rimasta più traccia; questa
frase viene usata molto spesso per esortare una persona a non preoccuparsi di
coloro che la insultano o che gli sono contro ma di andare avanti “senza
pensare/ragionare” su costoro.
“Galeotto fu il libro…” per alludere alla nascita di una
relazione amorosa e che richiama alle tristi vicende di Paolo e Francesca;
“Stai fresco” che significa “tutto a posto” ma per indicare
l’esatto contrario ossia che le cose andranno male e non bene;
“Non mi tange” che significa non mi interessa, non mi riguarda,
non mi tocca, lo dice Beatrice rassicurando Dante che nulla all’Inferno potrà
ferirla in quanto le miserie umane ormai non la toccano più;
“Ahi serva Italia!” è
diventata una nuova espressione per lamentarsi di una infelice situazione
politica del Paese e, per inciso, sempre molto attuale;
come anche “senza infamia e senza lode” usata per riferirsi
a qualcosa che non ha né difetti, né pregi e che risulta perciò piuttosto
indifferente;
“Bella persona” parole con cui ci riferiamo oggi alle
qualità interiori (e non estetiche) di una persona e che Dante usò per l’auto
descrizione che Francesca da Rimini fece di sé stessa;
“Far tremar le vene e i polsi” usata da Dante nell’Inferno a
verso 90 per indicare un grande spavento;
“Il Bel Paese” un’espressione poetica per definire l’Italia
usata da Dante nel verso 80 dell’Inferno.
“Lasciate ogni speranza o voi ch’entrate” si legge sulla
porta dell’Inferno, una frase che oggi si usa spesso in tono scherzoso quando
ci si trova davanti ad un compito difficile o ad un’impresa che si prevede
particolarmente ardua da affrontare.;
Dante, insomma, seppur scomparso da ormai settecento anni è
sempre con noi.
La Divina Commedia è il suo capolavoro è l’opera che
racchiude tutta la sua esperienza umana, civile, politica, spirituale e
poetica.
È composta da tre cantiche (Inferno, Purgatorio e Paradiso),
ciascuna delle quali comprende 33 canti, scritti in terzine di endecasillabi,
eccetto l’Inferno che contiene un canto in più quale prologo all’intera opera.
L’Inferno viene completato probabilmente verso il 1309, il Purgatorio verso il 1312, il Paradiso verso il 1318; tuttavia Dante lavora sulla Commedia fino alla morte.
Quello della Divina Commedia è un progetto coerente e
perfettamente organizzato in cui ogni parte è in rapporto con l’altra, e tutto
diventa quindi un tassello di un meraviglioso mosaico.
Dante impiega gran parte della sua vita nella stesura della
Commedia. Comincia a scrivere l’Inferno intorno al 1307, poco dopo l’esilio da
Firenze, e termina il Paradiso, l’ultima cantica, nel 1321, anno della morte.
I cento “canti” della Commedia non sono un numero casuale,
cento infatti era un numero simbolo di completezza, essendo una potenza del
numero dieci che nella cabala è il numero della perfezione.
Ogni cantica della Divina Commedia è dedicata al regno
dell’Aldilà corrispondente il fine principale del racconto è quello di spiegare
dove finiranno e come verranno punite o premiate le anime dopo la morte a
seconda del tipo di vita che hanno condotto.
Riprendendo la visione medievale del cosmo Dante descrive le
posizioni dei suoi regni: immaginandosi la terra al centro del cosmo divisa in
due emisferi e in cui solo il primo con la centro Gerusalemme è abitato.
Sotto Gerusalemme si apre l’Inferno e dalla parte opposta
del globo terrestre sorge invece la montagna del Purgatorio. Intorno alla Terra
ruotano poi nove cieli e l’Empireo, che è la sede di Dio.
Tutto questo è quanto ripropone Dante ma aggiunge a questi
concetti di base una gerarchia e una suddivisione dettagliatissime che nessuno
prima di lui aveva mai proposto. In questo è un pioniere a dir poco
geniale.
Curiosità da sapere
Il titolo Divina Commedia non è stato ideato da Dante, ma da
Giovanni Boccaccio. Restò Comedìa fino al Cinquecento, quando l'edizione
stampata riprese l'epiteto di Boccaccio e lo appose per sempre accanto al
titolo, dandole il nome che tutti conosciamo.
La Divina Commedia è un’opera geniale e unica e di
quest’opera l’Inferno è sicuramente la parte non solo migliore ma persino
divertente da leggere.
In effetti la versione in versi non è di facile lettura
(nemmeno per un italiano) ma esistono ormai molte ottime versioni in prosa che
possono venire lette e “gustate” anche da chi studia la lingua italiana.
Vediamo intanto la struttura dell’inferno.
Come si è formato l'Inferno?
La voragine dell'Inferno deriva dalla superbia di Lucifero, che
era uno degli angeli più belli del firmamento, e che ebbe la sfrontatezza di
condurre una rivolta contro Dio, spinto dalla superbia.
La rivolta fallì miseramente e questo angelo, ormai dannato, venne fatto precipitare giù dal cielo. Cadendo sulla Terra il terreno fu talmente inorridito che si scansò per non entrare a contatto con il corpo di Lucifero: si aprì così un’immensa voragine, appunto l’Inferno.
La terra spostata si rialzò dalla parte opposta del globo
formando la gigantesca montagna del Purgatorio (in sostanza il Purgatorio è un
calco dell’Inferno e capiamo subito quanto questi due mondi, a differenza del
Paradiso, sono profondamente legati al nostro mondo terrestre).
La voragine in cui si trova l’Inferno della Divina Commedia
non è un semplice fosso ma un intero mondo sotterraneo con una sua geografia precisa
che Dante, canto dopo canto, descrive in modo dettagliato.
L’inferno insomma è simile a un cono rovesciato suddiviso in
cerchi, ogni cerchio ospita un peccato diverso, nei piani alti ci sono i peccatori
più “scarsi” quelli che non ne hanno combinate proprio di brutte come ad esempio gli ignavi, la cui unica
colpa fu di non schierarsi politicamente, o di non aver avuto la fortuna di
essere battezzata (e nel gruppo ci si ritrovano Omero, Orazio, Ovidio, Platone,
Aristotele, Socrate e tanti altri.).
Scendendo sempre più verso il centro della terra iniziano le
vere “pene dell’inferno” eh sì perché le pene a cui vengono condannati i
peccatori dell’inferno di Dante solo fisiche e dolorosissime nonché
estremamente fantasiose.
Gerusalemme è la città attraverso cui si accede all’Inferno:
dopo una porta che reca una scritta minacciosa incisa sopra (vi ricordate?
“Lasciate ogni speranza o voi che entrate!”) si apre una zona detta Antinferno
dove si trovano gli ignavi, cioè le anime di quelli che in vita non scelsero
mai né di fare del bene ma neppure di fare del male e sono quindi rifiutati sia
dal cielo che dall’inferno.
Per arrivare al vero inferno Dante deve attraversare il
fiume Acheronte, dove un traghettatore, chiamato Caronte, porta sulla sua barca
le anime dei dannati verso la riva opposta.
Qui troviamo una zona detta Limbo – in cui scopriamo le
anime dei non battezzati e dei nati prima di Cristo – oltre la quale si accede
finalmente al vero e proprio Inferno.
L’Inferno di Dante è formato da nove zone, nove “cerchi”,
cioè dei cornicioni giganteschi, uno più in basso dell’altro come in una
macabra arena, che continuano verso il basso fino a raggiungere il centro della
Terra dove si trova conficcato Lucifero dal tempo della sua caduta. La zona più
cupa dell’Inferno inizia a partire dal sesto cerchio, dopo il fiume Stige.
La Città di Dite è il nome della zona più profonda
dell’Inferno che si apre dopo il quinto cerchio. Questa zona è ulteriormente
ramificata: il settimo cerchio (dove sono punite le anime dei violenti) conta
tre diversi “gironi” al suo interno, l’ottavo cerchio (dove sono punite le
anime dei fraudolenti) è a sua volta ripartito in dieci zone diverse dette
“bolge”.
Dopo le dieci bolge si apre il tetro pozzo dei giganti dopo
il quale giungiamo nell’ultima e più tragica zona dell’Inferno: il nono
cerchio, dove sono puniti i traditori ripartiti in quattro zone diverse.
Ecco lo schema dell’Inferno della Commedia:
Gerusalemme
Antinferno: ignavi
Acheronte e Limbo (I° cerchio)
II° - V° cerchio: lussuriosi, golosi, avari e prodighi,
iracondi e accidiosi (Fiume Stige)
Mura della Città di Dite
VI° cerchio: eretici
VII° cerchio: violenti (divisi in tre gironi) fiume
Flegetonte
VIII° cerchio: fraudolenti (dieci Bolge)
IX° cerchio: traditori, fiume congelato Cocito
Lucifero al centro della Terra
Inferno, Canto XIII - La pena dei suicidi
Ma le anime che si trovano all’inferno come vengono punite?
Con la legge del contrappasso.
Secondo la legge del contrappasso, l’anima dannata è punita
con una pena contraria o simile al peccato commesso.
Un esempio: le anime dei suicidi sono trasformate in alberi
infastiditi da animali rabbiosi. I suicidi hanno trattato il loro corpo come un
vegetale, come qualcosa da buttare e non come qualcosa di sacro a Dio e
meritano quindi di venire trasformate in piante e di non avere più una forma
corporea.
Ogni peccato viene punito in questa maniera ed è interessantissima
la ricerca del significato base di ogni pena.
All’inizio del suo viaggio Dante incontra tre bestie feroci
dette fiere.
Ognuna di queste fiere sta per uno dei peccati che Dante
ascrive a sé stesso, la lussuria, la cupidigia e la superbia.
Dante, infatti, ci racconta di aver intrapreso questo
viaggio in un momento della sua vita in cui “la dritta era smarrita” (la giusta
strada) e lui si trovava in una selva oscura.
Tre animali, le tre fiere, impediscono a Dante di tornare
indietro o di raggiungere un colle dove gli pareva esserci più luce. Queste
fiere sono delle allegorie, una figura retorica che Dante usa moltissimo e che
è diffusissima, in realtà, in tutta la letteratura medievale, e che implica che
si usino oggetti o animali che per le loro caratteristiche, stanno a
simboleggiare un’emozione, una problematica, una filosofia.
Dante incontra una lonza, un leone e una lupa, che
rappresentano rispettivamente la lussuria, la superbia e la cupidigia, cioè i
peccati che impediscono al Poeta di vivere serenamente.
Dante spaventato dal luogo e dalle bestie feroci si sente
sempre più perso finché in suo soccorso non arrivano tre donne direttamente dal
paradiso: Beatrice, la Madonna e Santa Lucia.
La guida che mettono a disposizione di Dante per uscire
dalla selva oscura è Virgilio, un poeta latino amatissimo da Dante e in realtà
molto importante per il mondo medievale poiché, in una delle sue egloghe,
annunciò la nascita di un bambino che avrebbe salvato il mondo: i cristiani
videro in questo messaggio una predizione della nascita di Cristo.
È Virgilio a spiegare a Dante che non riuscirà a uscire
dalla selva oscura e tornare sulla retta via se prima non intraprenderà un
viaggio di conoscenza e salvazione attraverso i tre regni dell’Aldilà.
I due si avviano così insieme verso Gerusalemme e cominciano
il viaggio nel regno degli inferi.
Come accennavamo la versione originale della Divina Commedia
non è di facile lettura per uno studente straniero di lingua italiana, mi
sembra importante però farvi sapere che esistono molte versioni in prosa con
una lingua molto semplificata, ma non solo, esiste la Divina Commedia a fumetti
o in stile manga creata dal famosissimo disegnatore Go Nagoi ma c’è anche
un’ottima versione della Mondadori con illustrazioni di Francesco Rovira, “La
Divina Commedia- Raccontata ai bambini” un libro di facile lettura molto ben
scritto.
Insomma, non avete assolutamente scuse, qualsiasi sia il vostro livello di italiano dovete assolutamente leggere la Divina Commedia!
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